Perché alcuni popoli hanno prodotto maggiore innovazione rispetto ad altri? Esistono condizioni sistemiche che favoriscono la generazione e la realizzazione delle idee?
Esistono dei fattori che possono rendere un ecosistema favorevole all’innovazione?
Conta di più l’attitudine del singolo innovatore o la presenza di un ecosistema ottimale?
#innovazione #ecosistema #attitudine
Jared Diamond, premio Pulitzer per la saggistica nel 1998, con “Armi, acciaio e malattie. Breve storia degli ultimi tredicimila anni” (titolo originale Guns, Germs and Steel: The Fates of Human Societies) ha affrontato i quesiti riportati nel sotto titolo attraverso una meravigliosa integrazione storica formata da archeologia, antropologia, biologia molecolare, ecologia, epidemiologia, genetica, linguistica, scienze sociali e teoria del caos. Il libro è incentrato sulla ricerca di una risposta alla domanda che Yali, un abitante della Nuova Guinea, fece all’autore nel luglio del 1972: “Come mai voi bianchi avete tutto questo cargo e lo portate qui in Nuova Guinea, mentre noi neri ne abbiamo così poco?”, dove per Cargo si intendono tutti quei beni tecnologici di cui i guineani erano privi prima dell’arrivo dei coloni.
La tecnologia, frutto dell’innovazione, in forma di armi e mezzi di trasporto, è per Diamond:
- il mezzo più immediato grazie al quale alcuni popoli hanno soggiogato altri e allargato i loro domini;
- il fattore più importante nelle grandi dinamiche storiche.
Lo studioso ha cercato di indagare il perché furono gli euroasiatici ad inventare le armi da fuoco, le navi transoceaniche e l’acciaio. Genio individuale o ecosistema migliore? Attraverso uno copiosa ricerca si conclude che l’attitudine da sola non basta se non è inserita all’interno di un contesto che possa far realizzare e divulgare le innovazioni.
Perché si innova e perché ci sono livelli diversi di innovazione?[1]
Lo squilibrio si riscontra in molti campi: mentre in Eurasia nascevano la stampa, il vetro e le macchine a vapore, in Nuova Guinea e in Australia, ancora nel 1800 si adoperavano utensili litici abbandonati da millenni in altri parti del mondo nonostante queste terre fossero ricchissime di ferro e rame. Dato che lo scrittore parte dal presupposto che non esistono caratteristiche neurobiologiche umane che possano spiegare differenze di sviluppo e quindi prosegue il suo ragionamento snocciolando alternative diverse:
- “Visione eroica dell’invenzione”: i progressi sono dovuti a un numero limitato di individui geniali, come Archimede, Johannes Gutemberg, James Watt, Thomas Edison e i fratelli Wright.
Tutti questi “eroi” sono europei, o americani discendenti di europei. Questi grandi uomini avrebbero potuto nascere in Tasmania o in Namibia? E la storia della tecnologia dipende davvero solo dalla ventura che fa nascere in un certo luogo un certo individuo?
- Un’ipotesi alternativa non parla di creatività individuale, ma tira in ballo la diversa recettività dei popoli alle innovazioni. Detto in termini italiani popolari “il bisognino fa trottar la vecchia”. Le invenzioni nascono quando esiste un bisogno comune fortemente sentito a cui la tecnologia esistente non dà risposta o risponde in modo parziale. Gli inventori agirebbero spinti dall’attrattività del denaro o della gloria, qualcuno riesce a escogitare una soluzione migliorativa, la società la fa sua se compatibile dal punto di vista culturale e tecnico.
Diamond ci spiega però che molto spesso l’invenzione è la madre delle necessità, non viceversa: “la tecnologia progredisce accumulando le esperienze di molti, non per atti isolati di singoli eroi; e i suoi usi vengono quasi sempre alla luce in un secondo tempo, perché quasi mai un oggetto si inventa pensando di soddisfare bisogni specifici”
Cosa fa scattare la molla dell’accettazione dell’innovazione?
L’accoglienza nelle diverse società è differente. I fattori che entrano in gioco sono almeno quattro.
- Vantaggio economico della nuova tecnologia rispetto a quella esistente;
- Un secondo fattore è dato dal prestigio, che può far cadere le ragioni di ordine economico;
- Un altro fattore è la compatibilità con gli interessi economici già acquisiti;
- L’ultimo fattore, determinante, per l’accettazione, è la facilità con cui si possono vedere i vantaggi.
Come nascono le differenze di ricettività tra i popoli?
Gli storici hanno tirato fuori una lista di almeno 14 ragioni.
- La durata media della vita che in principio dà agli inventori la possibilità di accumulare conoscenze e di intraprendere programmi a lunga scadenza;
- La disponibilità di forza lavoro a buon mercato data dagli schiavi sembra scoraggiare l’innovazione, una forza lavoro scarsa o costosa stimola la ricerca di soluzioni tecnologiche;
- L’esistenza di leggi a protezione dei brevetti e della proprietà intellettuale;
- Le società industriali forniscono molte opportunità per l’istruzione tecnico – scientifica
- Il capitalismo moderno è organizzato in modo tale da rendere redditizio l’investimento in ricerca e sviluppo
- Il forte individualismo di società come quella americana fa sì che gli inventori godano dei benefici del loro lavoro;
- La disponibilità ad assumersi rischi è più difficile in alcune società che in altre;
- Il metodo scientifico è una caratteristica esclusiva dell’Europa moderna;
- La tolleranza delle idee diverse aiutano il cambiamento;
- Non tutte le religioni sono uguali quando si tratta di progresso.
L’antropologo aggiunge che gli altri quattro fattori, a differenza dei precedenti, sono ambigui perché a volte si sono dimostrati favorevoli all’introduzione delle invenzioni altre volte no:
- Guerra;
- Governo centralizzato;
- Clima;
- Abbondanza di risorse.
Ma da dove arriva davvero l’innovazione?
Se si eccettuano i casi delle società del passato completamente isolate, gran parte della nuova tecnologia non viene sviluppata localmente, ma importata dai vicini. La proporzione tra invenzioni autoctone e importate dipende da due fattori:
- la semplicità della tecnologia in questione;
- la vicinanza tra i popoli.
A seconda della loro collocazione geografica, i popoli del mondo possono ricevere le invenzioni dei vicini con maggiore o minore facilità. L’importanza dei contatti e della posizione geografica è illustrata con forza da quei casi apparentemente incomprensibili di popoli che abbandonarono qualche ottima tecnologia a un certo punto della loro storia.
Poiché la tecnologia genera altra tecnologia, la buona diffusione di una invenzione è forse più importante dell’invenzione stessa. La storia delle innovazioni si può definire un processo autocanalitico[2] che accelera col tempo perché si alimenta e si favorisce da solo. L’esplosione scientifica e tecnica seguita alla rivoluzione industriale fu davvero notevole, ma anche quella del tardo Medioevo fu impressionante se paragonata a quella dell’Età del bronzo, che a sua volta oscurò quella del Paleolitico.
Alcune considerazioni di sintesi
In generale Diamond sostiene che la supremazia dei popoli Euroasiatici è legata al sorgere delle città caratterizzate da elevate densità abitative e da complesse strutture sociali che hanno consentito il sorgere di classi politiche, artigiani, malattie estremamente contagiose, nei confronti delle quali gli abitanti dell’Eurasia hanno sviluppato una parziale immunità. In termini attuali un ecosistema favorevole.
Recentemente, l’esperto di relazioni internazionali e autore di best seller Parag Khanna, ha sottolineato che le metropoli, non le nazioni, sono le strutture sociali che dominano e domineranno il mondo. Le metropoli sono diventate gli agglomerati demografici ed economici dominanti del mondo. Il sociologo Christopher Chase-Dunn ha sottolineato che non è la popolazione o la dimensione territoriale ciò che conta ma è il peso economico, la vicinanza a zone di crescita, la stabilità politica e attrattiva per i capitali stranieri. La connettività in grado di favorire il processo autocanalitico è più importante della dimensione.
L’ecosistema, sarà banale, è più importante dell’attitudine individuale. Quali possono essere le scelte organizzative da seguire per riuscire a generare un ecosistema in grado di favorire l’innovazione?
[1] Jared Diamond, “Armi, acciaio e malattie. Breve storia degli ultimi tredicimila anni” 1998 (pag. 190-207).
[2] Fenomeno chimico che si presenta quando il prodotto (o un intermedio) di una reazione si comporta come catalizzatore, ossia agisce sulla velocità della reazione stessa. In questo caso, dopo un breve periodo di induzione, il decorso della reazione subisce un’accelerazione, che può diventare così intensa da generare fenomeni di esplosione (Enciclopedia Tecnica Treccani)