Milioni di persone che stanno beneficiando dei programmi di protezione del lavoro rischiano di perdere il posto quando i sussidi scadranno, estendere la protezione dei posti di lavoro non farà che rimandare il problema. La crisi post Covid-19 dovrebbe trasformarsi nel momento perfetto per progettare il cambiamento radicale. Rintuzzare con lo scalpello cercando di mantenere la situazione stabile, genererà una sconfitta epocale.

Ci sono tre ordini di problemi e tre grandi aree di opportunità.

La prima è quella dell’atavica mancanza di offerta in grado di soddisfare la domanda di lavoro: il lavoro c’è ma non ci sono per le persone in grado di farlo? Paradossale ma è così da anni in Italia.

L’offerta di formazione non è allineata con la domanda di competenze richieste da aziende operanti sul territorio produttivo italiano. A riprova dell’incapacità di riuscire a connettere la pianificazione dell’offerta formativa al piano della realtà, il ministero dell’Università aumenterà gli accessi a medicina per il 2020/2021 portandoli a 13.072 unità. Per il segretario di l’Anaao-Assomed, Carlo Palermo, il Sistema sanitario nazionale avrà bisogno di un turnover di massimo “5.000 medici specialisti. Ci apprestiamo a formarne 9.700. Per 4.700 di loro sarà problematico trovare sbocchi lavorativi in Italia”. Continua “In 5 anni, se non si modificheranno gli accessi, saranno oltre 23.000”. Insomma, “dall’imbuto formativo passeremo ad un imbuto lavorativo. Uno spreco stimabile intorno a 6 miliardi di euro per ogni quinquennio perché ognuno di loro costa 250.000 euro, quanto una Ferrari 488 GTB. Andranno tutti a lavorare all’estero.”

Ritornando al mondo dell’imprese e della incapacità di riuscire a connettere domanda e offerta di lavoro, molto può essere spiegato attraverso una carenza di concretezza nella relazione tra pubblico e privato, tra università e corpi intermedi, che rappresentano il mondo imprenditoriale, oltre a un limitato allineamento all’interno delle filiere produttive. Risultato: dispersione di risorse e risultati migliorabili in termini di qualità e efficacia formativa.

Seconda area di intervento, le PMI.

Secondo i dati 2018, relativi ai bilanci 2017, soddisfano i requisiti di PMI 156.754 società. Di queste, 130.300 sono piccole imprese e 26.454 sono medie aziende.

Le PMI, presentato una serie di aree di opportunità. Una di portata storica è il gap nelle competenze chiave manageriali. Tutto ciò è per lo più dovuto a una scarsa consapevolezza della rilevanza e dell’urgenza di integrare i saperi per poter crescere e prosperare negli anni. Tutto ciò si riverbera in una limitata domanda di formazione nelle piccole imprese che si riflette in un uso minimo e sub-ottimale dei fondi inter-professionali di formazione. Ancora risorse utilizzate parzialmente. Ultimo ma non ultimo, la mancanza di offerta di qualità per gli imprenditori, i proprietari o i dirigenti più importanti. La formazione è solo quella finanziata dai fondi inter-professionali, di limitata qualità e non esattamente pensata per chi deve prendere le decisioni. Viene da pensare che in generale è la vulgata complessiva a sottostimare l’importanza della formazione ma che in qualche modo, questo sia anche dovuto alla limitatezza, in termini qualitativi e di personalizzazione, dell’offerta formativa per le PMI.

Tra le competenze chiave, non solo per i ruoli chiave, ma per tutti, c’è da colmare l’enorme gap che in generale l’Italia sconta nelle competenze digitali. Anche qui andrebbe organizzata una offerta su misura, in modalità blended e costruita non nella logica del corso o dei corsi ma del percorso: momenti live, momenti on demand sia video che audio, test ed esercizi, casi, e possibilità di avere a disposizione delle sessioni uno a uno con degli esperti che siano in grado di rispondere concretamente ai quesiti delle persone.

Terza area di intervento, le competenze per il futuro a breve e nel medio periodo.

Le aziende italiane sono pronte ad offrire un lavoro a 469 mila lavoratori STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica ) nei prossimi 5 anni, ma al tempo stesso il 33% della professionalità tecnica richiesta dalle aziende risulta “non rintracciabile. Un così cospicuo e raggiungibile obiettivo di occupabilità andrebbe probabilmente seguito da un gruppo di lavoro operativo e multidisciplinare formato personale del Ministero dello sviluppo economico e dal ministero dell’Università.

Infine, La London School of Economics ci dice che per la formazione delle future classi dirigenti di domani bisogna assegnare un diverso rilievo a sociologia, antropologia, filosofia, letteratura e storia dell’arte. Campi di studio che non devono solo essere difesi, ma vanno rilanciati: nella prospettiva di una radicale riarticolazione della mappa della cultura contemporanea. Si tratta di saperi insostituibili, necessari: mai come nella nostra epoca. Così come per le competenze STEM è stato creato un acronimo SHAPE: ovvero, scienze sociali e umane e arti per le persone e l’economia.