Nel 1973 Jack Nilles, insieme ad altri studiosi, pubblicò un saggio in cui affermava che il problema del traffico poteva essere risolto attraverso un’organizzazione del lavoro diversa da quella dell’epoca. Non esistevano i personal computer, la rete sì ma per altri scopi e il World Wide Web sarebbe arrivato solo nel 1990.

La proposta di Nilles, che in estrema sintesi suggeriva di costruire uffici satellite nelle periferie della città, una rete di fattorini e di computer avrebbe garantito la comunicazione tra le varie sedi, veniva alla ribalta in seguito al fortissimo aumento del prezzo del carburante causato dall’embargo deciso dall’Opec lo stesso anno (nota con link alla video intervista con Sacchetti).

Negli ultimi anni, prima della pandemia Covid-19, gli accordi per il flexible working che man mano sono stati realizzati, si sono innestati all’interno della tematica Life Work Balance, un po’ come una sorta di extra non monetario. Spesso è capitato, all’interno di alcune organizzazioni, che un collega chiamasse un altro per una questione di lavoro e quando il chiamato diceva al chiamante “non sono in ufficio, sono in smart working” il chiamante immediatamente “scusami non lo sapevo, ci sentiamo domani”. Paradossalmente, grazie alle tecnologie, non si era diffuso il remote/flexible/smart working ma il lavoro sempre e ovunque. Ora oggettivamente non è chiaro, se, quando e come ci sarà la possibilità di tornare per scelta pienamente in ufficio. Non tutti sicuramente vorranno lavorare da casa ma per un periodo più o meno lungo le organizzazioni incentiveranno i proprio impiegati a farlo per questioni di sicurezza, distanziamento, assicurazioni, responsabilità.

Probabilmente, un ostacolo culturale fortissimo allo sviluppo a pieno del lavoro a distanza è stato quasi definitivamente sconfitto, i dirigenti hanno potuto toccare con mano che ridisegnando i processi, senza l’ausilio del controllo fisico, la produttività magicamente aumenta.

In Italia, il prodotto per ora lavorata dal 1970 al 1995 è quasi raddoppiato, dal 1995 ad oggi è rimasto fermo. Grazie al lockdown la parte produttiva dell’Italia è stata costretta ad un corso accelerato di tecnologia e nuova organizzazione del lavoro. Chi ha saputo, sia nella manifattura che nei servizi, dotarsi di una organizzazione intelligente del lavoro ha visto aumentare la propria produttività. Abbiamo toccato con mano che la gerarchia basata sul controllo visivo dei dipendenti non genera risultati migliori in termini di produttività, anzi. Perché ora dovremmo tornare indietro?

I principali ostacoli al definitivo successo di una innovazione tecnologica e organizzativa sono solitamente diversi. Innanzitutto, l’inerzia del management: non comprendendo a pieno il vantaggio non intraprendono riorganizzazioni complesse e costose. La capacità di immaginare il futuro è un secondo grande ostacolo all’instaurarsi dell’innovazione. Lo è stato anche per il lavoro a distanza.

La via nuova, è tutta da disegnare nel solco dell’integrazione tra fisico e digitale, presenza e distanza. Apprendimento continuo, responsabilizzazione, autonomia, collaborazione, attraverso l’utilizzo sapiente delle tecnologie digitali per la gestione dei flussi e dei carichi di lavoro. Altro che effetto grotta. Certo ci saranno sempre persone per cui l’isolamento non è affatto un lusso e preferiranno sempre lavorare in ufficio. Le aziende conserveranno le sedi ma saranno diverse, probabilmente più piccole, le persone potranno distribuirsi diversamente sui territori (di questo e di altro ne ho parlato nell’intervista del 4 maggio) e i prezzi degli immobili nelle grandi città caleranno. Certo, resta il problema della repubblica basata sulla pausa pranzo. Pensiamoci