Nell’ultima fotografia pubblicata dall’Istat, basata sui dai del censimento permanente 2019, su un campione di circa 280.000 unità da 3 o più addetti, rappresentativo di circa un milione di imprese, si evidenziava una crescente terziarizzazione delle attività produttive. Infatti, dal 2011 al 2018 si è passati dal 65,6% al 70,3%, di aziende appartenenti al comparto dei servizi che sono arrivate a impiegare il 64% degli addetti totali (lavoratori dipendenti o indipendenti), il 5% in più rispetto al 2011.

Una crescita fatta per lo più a spese delle imprese industriali e delle costruzioni. Le prime infatti erano passate dal 20,7% del 2011 al 18,9% del 2018, le seconde dal 13,7% al 10,7%. I dati confermavano una tendenza generale iniziata nei primi anni del 2000, dal 2001 al 2018, il settore dei servizi pari a 158.000 imprese e oltre 2 milioni di addetti.

 

A fare da traino a questa crescita sono stati settori come le attività artistiche, sportive, di intrattenimento (+41,3% di imprese e +16,7% di addetti), oltre ai servizi di alloggio e della ristorazione (in crescita del 23,3%). Al contrario il settore dell’industria aveva perso 63.000 imprese e oltre 1 milione di addetti in 20 anni, mentre le costruzioni hanno perso circa 30.000 imprese e 220.000 addetti nello stesso periodo.

Dai dati Istat, inoltre, si chiariva che il sistema produttivo italiano era ancora fortemente legato alla gestione familiare dell’impresa: nel 2018 il 75,2% delle unità produttive italiane con almeno 3 addetti era controllato da una persona fisica o una famiglia. Percentuale che scendeva al 63,7% nel caso di imprese con almeno 10 addetti.

Anche nelle grandi imprese (almeno 250 addetti) rimaneva comunque alta la presenza del controllo individuale o familiare, pari al 37%. L’ultimo dato rilevante riguardava un aspetto chiave della vita di queste imprese, nel decennio 2013 – 2023, oltre il 20% delle imprese del campione dovrà passare attraverso il passaggio generazionale della guida dell’attività.

Quasi due terzi delle imprese italiane aveva effettuato investimenti in formazione: nel triennio 2016-2018 il 64,8% aveva speso in almeno un campo tra ricerca e sviluppo, tecnologie e digitalizzazione, capitale umano e formazione, internazionalizzazione, responsabilità sociale e ambientale. Formazione e tecnologia sono stati gli ambiti su cui si sono concentrate di più le aziende (rispettivamente 54,3% e 46,7%).

Il dato però deve tener conto di un aspetto importante: se si esclude la formazione obbligatoria del personale, quella cioè prescritta dalla legge, l’aggiornamento effettivamente deciso e finanziato delle imprese nel 2018 si fermava al 22,4%, coinvolgendone poco più di 230.000 su un totale di oltre un milione.

L’analisi dell’Istat prendeva in considerazione il processo di digital transformation dell’impresa italiana, evidenziando un mondo ancora troppo indietro nel campo dell’innovazione e della digitalizzazione. La maggior parte delle imprese infatti utilizza un numero limitato di tecnologie, dando priorità agli investimenti infrastrutturali (soluzioni cloud, connettività in fibra ottica o in mobilità, software gestionali).

Dall’analisi dell’Istat emergeva chiaramente che, sebbene anche le imprese con bassa intensità di digitalizzazione siano impegnate (per il 65,8%) in almeno un’attività di innovazione, è nelle aziende dove la digitalizzazione è più avanzata che si trova maggiore innovazione.


Le micro e piccole imprese sono cruciali per l’economia e la società: sono motori di imprenditorialità, moltiplicatori economici e centri di comunità. Lo sono per tutti e per una buona fetta di persone per le quali sono l’unica opportunità di auto impiego. In generale le famiglie che possiedono un’impresa tendono ad avere una maggiore mobilità verso l’alto. Ora, in questo momento, le micro e piccole imprese avranno bisogno di tutto l’aiuto possibile. Più di tutte le altre imprese.

Le micro e piccole imprese che erano probabilmente in difficoltà finanziarie prima della pandemia COVID-19, in particolare nel settore manifatturiero, nella vendita al dettaglio e nella ristorazione, ora si trovano in una situazione drammatica. Questi settori sono tra i più colpiti dalla COVID-19, unitamente ai settori dell’organizzazione di eventi, del turismo e di tutti quelli strettamente collegati, come ad esempio i produttori di vino. I numeri sono davvero sconcertanti, diversi milioni di posti di lavoro nelle miro e piccole imprese sono a rischio e più è piccola l’impresa più spesso diventa vulnerabile.

Dove sono le opportunità?

Molti imprenditori di micro e piccole imprese si stanno adattando ai nuovi modelli operativi che ruotano attorno all’esperienza senza contatto fisico con i clienti. I ristoranti utilizzano le app di delivery, i droghieri hanno aggiunto la consegna a casa e hanno sperimentato nuovi metodi di pagamento e nuove app. I retailers si stanno rapidamente riposizionando anche aprendo al commercio elettronico, offrendo consegne gratuite ed estendendo le politiche di restituzione. La presenza nei negozi viene meglio organizzata grazie all’ausilio delle app per la gestione delle prenotazioni.

Non c’è dubbio che questo e i prossimi anni saranno difficili. Trovare soluzioni richiederà uno sforzo a livello di ecosistema complesso. Generare una nuova domanda e migliorare le competenze, l’immaginazione e la resilienza delle piccole imprese non è una cosa semplice. Ma dovrà essere fatto.